L’Italia vende ed esporta i prodotti ortofrutticoli di maggior qualità e sicurezza, realizzati rispettando i più alti standard produttivi per il bene dell’ambiente e la salute dei consumatori. Eppure, questi importanti “valori”, spesso non vengono ripagati giustamente dagli attori della grande distribuzione che operano a livello mondiale. In altre parole: si produce uva di alta qualità, ma il mercato non paga.
È quanto sta succedendo quest’estate con l’uva da tavola pugliese, il cui comparto produttivo è in sofferenza per via degli aumenti dei costi. Dai materiali di confezionamento all’energia elettrica, passando per gasolio, noli container, costi extra bancari, assicurativi e tasse.
“I prezzi medi di vendita sono più bassi dell’anno scorso e, soprattutto, non sono soddisfacenti per coprire i maggiori costi che quest’anno devono sostenere produttori e confezionatori. Nel settore prevale quindi lo scoraggiamento”. A rilevarlo Giacomo Suglia, presidente dell’Apeo (Associazioni dei produttori e degli esportatori ortofrutticoli pugliesi) e vicepresidente di Fruitimprese. Secondo Suglia, “i prezzi di mercato dell’uva da tavola dovrebbero essere almeno del 20% più alti rispetto a quelli attuali”.
Con i nostri prodotti facciamo mangiare bene i consumatori italiani e mondiali, portando uva di alta qualità, ma il mercato non paga. Quest’estate stiamo andando in difficoltà perché spesso lavoriamo sottocosto, i consumi non sono alti e dobbiamo confezionare il 90% del prodotto per le esigenze dei mercati. Anche i colleghi spagnoli si stanno lamentando per una situazione che sta diventando insostenibile. La Gdo e gli importatori dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza e provare ad aiutarci. Basterebbe che un cestino di uva da mezzo chilo ci venisse pagato 0,5 euro in più”.
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